Una piccola digressione.

C'è chi vede nella crisi che stiamo vivendo il (da certuni tanto atteso) crollo dell'ideologia capitalista: una descrizione che pur nel suo essere tragicamente riduttiva riesce comunque a sottolinearne un aspetto1. È interessante osservare come questo aspetto della crisi stia stato violentemente accelerato dal fallimento delle grandi esperienze comuniste (Cina e blocco sovietico) che, con la loro transizione ad un capitalismo molto meno controllato e quindi più vicino a quello teorico di quanto non lo sia (soprattutto ormai) il capitalismo occidentale, hanno inondato un mercato già saturo con manodopera e merci sottocosto per gli standard occidentali: il colpo di grazia per il già impossibile bilico su cui era fondata la finanza ad alto rischio che con il proprio crollo ha finalmente portato la crisi sui giornali: e molto si potrebbe dire sul modo in cui l'informazione è stata pubblicata, e molto di più ancora si potrebbe dire su quello che si cerca di fare per ‘fermare’ la crisi (o forse sarebbe più opportuno dire: quello che si fa utilizzando la crisi come scusa).

È anche interessante notare che il Paese europeo maggiormente colpito dalla crisi è stato (almeno finora) l'Irlanda, nazione che giusto nell'ultimo decennio del secolo scorso era riuscita ad assurgere a seconda potenza economica europea grazie anche ad una politica di levità fiscale mirata ad attirare investimenti esteri (sui contributi della Comunità Europea non si sa bene se abbiano fatto bene o male: ovviamente i libertari sostengono che abbiano fatto più male che bene, nonostante il loro riuscito investimento nelle infrastrutture che sarebbero altrimenti collassate sotto la grande espansione); per contro, i meno colpiti sono i soliti Paesi socialisti della regione baltico-scandinava2.

La crisi ha colpito un po' tutti i settori, primo fra tutti quello bancario e finanziario, quel campo trasversale che gestisce i capitali che alimentano tutti gli altri settori; ed anche nelle piccole finanze domestiche il dramma s'è fatto sentire: con tutto l'ottimismo del mondo, se i soldi non arrivano a fine mese non ci arrivano, e divenire oculati negli acquisti diventa una necessità, non più una scelta. Per essere più ottimisti bisognerebbe avere più soldi, o almeno qualche forma di garanzia della possibilità di averli: niente posto, niente soldi, niente acquisti; niente posto fisso, niente garanzie, niente prestiti.

Sembrerebbe che ormai persino i più accaniti difensori dell'aumento della produttività (come se il produrre di più a meno aumentasse la disponibilità economica della larga parte degli acquirenti, o risolvesse il problema della saturazione del mercato) si stiano rendendo conto che il vero problema è la drastica riduzione del potere d'acquisto; ma ovviamente non c'è da sperare che soluzioni opportune vengano proposte e men che mai attuate, visto che l'idea di ridistribuire piuttosto che accentrare le risorse economiche va contro tutti i principî fondanti su cui è cresciuta la classe dirigente (economica, industriale e politica) italiana e non solo (ricordiamo ad esempio i manager che si alzano lo stipendio anche quando la loro azienda corre verso il fallimento). E nonostante dovrebbe ormai essere evidente a tutti che questo tipo di approccio è tuttaltro che salvifico per la situazione generale, ben poco invita a credere che l'atteggiamento cambierà: non è purtroppo solo a Catania che imperversa la mentalità del perseverare nell'errore anche quando è evidente che sarebbe opportuno provare strade alternative.

(Anzi, devo dire che in tal senso la recente proposta di alcuni parlamentari del PD di devolvere il 25% del loro stipendio ad un fondo per disoccupati (che porterebbe fino a 6 milioni di euro al mese, che sono più di seimila indennità di disoccupazione) è stata una sorpresa: bazzecole inadeguate, ma comunque una manifestazione, un segnale nella giusta direzione. Certo l'idea non è buona come certe mie idee in tal senso, tipo l'equiparazione del parlamentare a co.co.co, con tutte le conseguenze del caso; e stipendio a questi dipendenti pubblici a tempo determinato fissato per referendum. Ma tutto considerato è purtroppo il meglio che ci si può aspettare dall'attuale nostra classe politica.)

Benché la cosa possa apparire abbastanza scollegata dal resto, vorrei però concentrarmi su un settore che ha sempre avuto un comportamento molto anomalo rispetto ai flussi e riflussi dell'economia, un settore a cui sono da tempo attratto per altri motivi, ma che per questi suoi bizzarri andamenti (ma non solo) è molto più interessante da osservare: quello dell'informatica, nei suoi aspetti più (hardware) e meno (software) concreti. Questo pilastro della terza rivoluzione industriale, in un contesto come quello attuale, ha cose molto interessanti da dire, a saperlo ascoltare; ha interessanti prospettive da mostrare; e forse persino qualche speranza da apprire.


  1. koan: Shuzan alzò il suo corto bastone e disse: “Se questo lo chiamate un bastone corto, vi opponete alla sua realtà. Se non lo chiamate un bastone corto, ignorate il fatto. Orbene, come volete chiamarlo?” ↩

  2. in realtà forse il caso dell'Islanda è forse più tragico e grottesco di quello dell'Irlanda ↩