Homo faber, homo destruens
Una delle considerazioni che mi piace reiterare è che il conflitto è naturale conseguenza del non trombare abbastanza. Al di là della sua ovvia volgarità, la considerazione può essere verificata a vari livelli, ed assume aspetti che, molto meno volgari, si rivelano in realtà anche interessanti come ottica sulla vita sociale degli individui.
Nella sua espressione più banale, la considerazion è quasi tautologicamente vera: dopo tutto, se la gente dedicasse al sesso una fetta sufficientemente grande delle proprie ore di veglia, non avrebbe non dico le energie, ma probabilmente nemmeno il tempo di dedicarsi al conflitto. Quindi defindendo “abbastanza” come “tanto da non aver più tempo/energie per”, la considerazione è banalmente vera.
In realtà, dal punto di vista fisiologico la considerazione ha riscontri ben noti; che il testosterone guidi sia l'impulso all'accoppiamento che quello al conflitto è praticamente vox populi, e chi non conosce ancora i bonobo, i nostri lontani cugini (evoluzionisticamente parlando) che risolvono i conflitti con estenuanti sessioni copulative? Certo sarebbe interessante capire per quale meccanismo evolutivo la loro specie abbia selezionato un simile tratto, laddove praticamente tutte le altre preferiscono darsele di santa ragione, menarsi invece che menarsela. E chissà che la cosa non sia anche correlata in qualche modo alla struttura matriarcale della loro società.
Ma alla questione si può dare un aspetto, diciamo, più “spirituale”. Volendo ipotizzare che gli esseri umani non siano al pari di tutti gli altri animali un semplice marchingegno con cui la Vita si riproduca, possiamo annoverare tra i quid che ci distinguono dal resto del vivente la nostra attitudine a creare, un'attitudine che va oltre non solo la meccanica riproduzione del proprio materiale genetico, ma anche oltre le più sofisticate ma comunque in qualche modo istintuali ed innate ingegneristiche creazioni animali (dalla tela di ragno alle dighe dei castori).
L'uomo (e non entro qui nelle questioni di genere) sarebbe quindi contraddistinto dalla sua creatività, la capacità di concepire idee e quindi (se non soprattutto) di esprimerle e renderle infine anche fruibili dagli altri per tramite di uno o più dei sensi. In questa attività, che ha un'origine intellettuale e trova spesso una conclusione in attività più o meno manuali, l'uomo trova la propria realizzazione.
Come nel caso dell'atto sessuale, l'atto creativo ha in sé una ricchezza maggiore del proprio compimento, è l'archetipico esempio del viaggio più importante della meta. Come nel caso dell'atto sessuale, il compimento dell'atto creativo porta ad una esaltate soddisfazione cui non sfugge, al seguio, uno strascicante senso di vuoto, una strana combinazione che da un lato stimola al ripetere dell'esperienza, dall'altro aiuta a mantenere quella separazione tra una ripetizione e l'altra che permetta al corpo, alla mente di rigenerarsi, recuperare le forze.
Sono molti i paralleli tra i due; si potrebbe anzi dire che l'atto sessuale e l'atto creativo siano manifestazioni diverse (l'una grezza, primitiva, primordiale, l'altra raffinata, sublime, evoluta) di uno stesso impulso.
E la castrazione porta l'individuo ad una perdita di interesse nei confronti dell'atto sessuale, spingendolo ad una rassegnata e passiva pigrizia, così si può fare per l'atto creativo, educando alla fruizione passiva e soffocando l'innato stimolo alla creazione: un importante strumento di controllo della popolazione.
I paralleli si spingono oltre: ad esempio alla frustrazione di chi, pur sentendo l'esigenza creativa, non riesca ad andare oltre il vago seppur pressante senso del bisogno, mancando quindi di intraprendere nuove attività creative, o abbandonandole appena iniziate, senza mai giungere alla soddisfazione del compimento. Una frustrazione che finisce con il cercare, e spesso trovare, sfogo in attività meno creative, generalmente più violente.
Chi non riesce a creare finisce, inevitabilmente, con il cercare di rompere.