Postapocalittica/1

Sappiamo che civiltà più complesse della nostra hanno calpestato il nostro mondo, in epoche passate. Lo sappiamo perché del loro passaggio rimane tuttora traccia. Ma di queste civiltà sappiamo ben poco.

C'è chi sostiene che questi ruderi siano alieni d'origine, resti della visita di esseri venuti dalle stelle; ma la maggior parte della gente pensa che siano semplicemente civiltà umane che ci hanno preceduto, raggiungendo l'apice del proprio sviluppo prima di sparire.

Sinceramente, io trovo fantasiose entrambe le teorie. L'idea che una civiltà possa semplicemente svanire, lasciando come ricordo di sé solo questi ruderi, non mi sembra poi più credibile dell'idea di esseri che vivono tra le stelle.

Confesso di essere una persona molto curiosa. Mi piacerebbe poter incontrare uno di questi fantomatici esseri del nostro passato, umani o meno che fossero, e scoprire in cosa consistesse la loro vita, in cosa differisse dalla nostra, da dove venisse la loro civiltà, e come fosse poi sparita.

Quando ero più giovane, la mia curiosità mi ha talvolta portato persino ad abbandonare la mia comunità per lunghi giorni, attirato dal desiderio di andare a cercare segni che mi potessero dare un indizio; l'ho fatto sapendo di mettere a repentaglio la mia vità, perché trappole assurde, non si capisce se intenzionali o meno, si nascondono spesso in quegli spuntoni che emergono dalla polvere dei secoli: ricordo ancora lo scheletro di un esploratore meno fortunato di me, mezzo sepolto sotto un crollo improvviso.

In quelle scorribande giovanili mi accompagnava talvolta Terreo: il suo interesse principale, nonché l'inclinazione naturale della sua indole, era verso la tecnica, gli strumenti, e scoprire qualche artefatto lasciatoci dalle civiltà precedenti era il suo sogno.

Finché un giorno non mi disse che era tutto inutile, che troppo era il divario tra le nostre conoscenze e le loro, che persino i materiali delle loro costruzioni, figuriamoci le tecniche che vi stavano dietro, erano incomprensibili. E da allora non venne più con me, accontentandosi di trovare nuovi trucchi per rendere più sofisticati nostri strumenti di vita quotidiana.

Io continuai ad andare ancora per qualche anno, finché anch'io mi resi conto che era tutto inutile: se anche fossi riuscito a trovare qualche documento, qualcosa che potesse raccontarmi brandelli della vita di allora, cosa mai avrei potuto fare per riuscire a leggerli? Se anche fossi riuscito a interpretare la loro scrittura, finanche a decifrarne il linguaggio, quanto di assunto ci sarebbe stato nei loro testi? quanto di implicito, di ovvio per coloro che allora vivevano, ma incomprensibile per me?

Fu la presa di coscienza di questa insuperabile barriera che mi fece desistere da ogni curiosità; tornai alla mia comunità con un'aria più derelitta e sconfitta del solito, ma nessuno salvo Terreo sembrò prestarvi troppa attenzione. Quella sera mi consolò, tenendomi compagnia come non succedeva da anni, ed il giorno dopo mi regalò questo strumento meraviglioso che aveva inventato per scrivere più comodamente.

Una seconda presa di coscienza accompagnò la prima, ed è qualcosa che tuttora mi perseguita, che forse per sempre mi perseguiterà: quanto della nostra vita quotidiana diamo per scontato? Quanto saremmo in grado di spiegare ciascun gesto, ciascuna situazione che a noi appare normale, quasi invisibile, ma che magari a qualcuno che venisse da fuori, da un remoto passato o da un lontano futuro, apparirebbe assurdo, incomprensibile?

Se anche dovessimo descrivere la nostra tipica giornata, come potremmo sapere cosa evidenziare, cosa tacere? Cosa mangiavano, e quando, le antiche civiltà? Che tipo di cielo vedevano sopra le loro teste? Quando si svegliavano, quando andavano a dormire? Con cosa coprivano i loro corpi? Quanto a lungo vivevano? Dove vivevano? In compagnia di chi? Come erano le loro comunità?

Ciascuna di queste domande cominciò ad emergere in ogni gesto, parola, pensiero che nella quotidianità aveva assunto fino ad allora l'invisibilità dell'abitudine. Mi cominciò a capitare, e mi capita tuttora, di soffermarmi durante un atto e pensare: ecco, per me questo è naturale, ma è davvero tale, o è solo frutto della mia vita qui ed ora? come apparirebbe ad un membro di quelle antiche civiltà?

Ed ogni sera, raccolgo a fine giornata nella mia mente tutte queste domande, e cerco di dar loro risposta, in una forma o nell'altra.

Postapocalittica/2

Oggi uno straniero ha raggiunto la nostra comunità. È arrivato dalle ombre, e si è fermato al limitare della comunità, com'è usuale.

L'arrivo di uno straniero è un evento raro: prima d'ora, nel corso della mia vita, è successo solo una volta, quando ero ancora un bambino. Come allora, l'evento ha causato una certa commozione, con i bambini che correvano gridando avanti e indietro, mentre gli adulti, tra i quali stavolta anch'io, hanno sospeso per qalche minuto le loro attività, rimanendo a guardare lo straniero da lontano.

È stato nell'attesa che è seguita che ho deciso di scrivere queste pelli. Per me, l'arrivo dello straniero significa la possibilità di imparare cose nuove, soddisfare la mia eterna curiosità; ed ho pensato che se la conoscenza delle antiche civiltà è svanita con loro e con chi di loro aveva memoria, l'unico modo per evitare che questo succeda è di registrare per iscritto gli eventi.

Se in futuro, quando persino la memoria di me sarà svanita, qualcuno vorrà soddisfare la propria curiosità, potrà farlo leggendo queste pelli. Ma so anche che non è detto che chi le leggerà conosca il mondo come lo conosciamo noi; per questo ho deciso che preparerò altre pelli in cui descrivere anche gli aspetti comuni della vita quotidiana, pur sapendo che sarà difficile indovinare quali cose nel futuro potranno essere diversa da ora, come ora lo è indovinare quali cose fossero diverse nei tempi antichi.

Dal centro è infine emerso il vecchio Guido, accompagnato da Cielo, con una brocca d'acqua da offrire allo straniero, che l'ha accettata con un inchino. Dissetatosi, lo straniero ha quindi restituito la brocca a Guido, ha raccolto la propria sacca, ed ha seguito il vecchio fin sotto la tettoia del centro, con i bambini più curiosi che si affollavano intorno a loro e Cielo che cercava di calmarli, ricordando loro che lo straniero doveva riposare.

Per noi adulti non è rimasto altro da fare che tornare alle nostre attività. Ho sbrigato rapidamente quello che dovevo fare, e sono corso in casa a scrivere. Non nascondo di sentirmi non meno curioso di quei bambini: ricordo ancora la delusione che avevo provato la volta precedente, nella quale lo straniero parlò poco, e per lo più in una lingua a me sconosciuta; spero che il nuovo arrivato —che non mi sembra essere lo stesso della volta scorsa— possa invece raccontarci qualcosa di interessante.