«I tuoi disegni sono della Via della Mente.» mi dice. Io sollevo lo sguardo, incontrando il suo. Sono in ginocchio, ancora legata alla gamba del letto, e lui è accosciato di fronte a me. Mi alzo, e per la prima volta lo guardo dall'alto verso il basso.

«Sì.» rispondo. Mi chiedo quanto sappia dei j'thur, ed il suo annuire alla mia risposta non mi piace. Ancor meno mi piace la smorfia che segue, il dissenso che ne trapela.

Abbasso lo sguardo senza rispondere. So cosa vuole dire, che non è la Via che mi si confà. Ma io non sono il mio Corpo, non sono questo deperibile vaso che ospita la mia coscienza, non sono la Lingua che la simula e la dissimula, non sono l'imperturbabile Tempo su cui imperterrito scivola.

«Io sono la mia coscienza; la Mente che governa il Corpo, e che con esso percepisce il mondo; la Mente che articola la parola, e che con essa lo lega; la Mente che recepisce il Tempo, e con esso lo vive.» recita lui, nuovamente in piedi davanti a me; poi improvvisamente, brusco «Queste parole non vogliono dire ciò che tu pensi vogliano dire; ma se la Via che hai scelto fosse stata quella giusta, l'avresti capito da te. Un bel paradosso.»

Si stende sul letto, e la sua voce scende improvvisamente di volume, come se lui stesse per addormentarsi: «Se avessi compreso il senso di quelle parole, avresti giustamente dovuto —potuto?— scegliere la Via della Mente; ma non l'hai compreso, e quindi hai scelto la Via della Mente.»

Si rialza di scatto a sedere. «Devi andare in bagno.» afferma, più che domandare. Mi afferra le mani, tirandole verso l'alto; non so come, ma la catenella che unisce le mie manette non è più legata ai piedi del letto.

Mi accompagna al bagno, mi fa sedere sul gabinetto, ma al contrario, cavalcioni sulla tazza, faccia al muro. La posizione è più imbarazzante di quanto mi piacerebbe ammettere. Mi chino leggermente in avanti, raddrizzando le spalle, sperando che almeno l'invidiabile sagoma della mia schiena possa attrarre la sua attenzione, ma allo stesso tempo saperlo lì dietro che mi osserva mi rende più difficile svuotarmi la vescica.

Quando finalmente riesco, sento la sua presenza incombere su di me, le sue mani si poggiano sulle mie cosce, per poi risalire in un leggero sfioramento sui glutei, sui fianchi, e poi ancora su, spingendosi avanti fino a titillarmi brevemente i capezzoli. Ci siamo.

Mi fa spostare sul bidet, sempre nella stessa posizione, per prendersi personalmente cura della mia igiene intima; è un gioco a cui posso giocare, e che anzi incoraggio, inclinandomi indietro fino a poggiarmi contro il suo petto, per lasciargli libero accesso tra le mie gambe.

Chiudo gli occhi, lascio che mi sciaqui con cura; quando finisce, lo percepisco trafficare con qualcosa che non riesco a stento ad identificare nemmeno quando finalmente, con un'abbondante schiuma che mi solletica, la applica alle mie parti intime.

Mi sento più rilassata, ora, ed il lento massaggio delle sue dita è ben mirato, gradevole, persino stimolante. Stendo indietro le braccia ancora legate, fino a trovare il suo membro: è un essere umano, dopo tutto, e per quanto si manifesti indifferente, almeno il suo corpo non rinnega l'interesse per questi giochi.

Sorrido, sempre ad occhi chiusi; lo carezzo con leggerezza, sentendolo pulsare caldo tra le mie mani. Non mi dire che sarà sufficiente questo? Eppure il suo tocco è capace di distrarmi, comincio anch'io ad avere una certa voglia, e quando finalmente le sue dita provano ad entrare, mi trovano aperta, lubrificata. La sua altra mano, che fino ad un attimo prima mi carezzava tra le cosce, risale, solleticandomi il ventre, fino al seno.

Ok, mi sta cominciando a piacere un po' troppo. Sto perdendo la concentrazione, e quando provo ad essere più aggressiva con il suo membro, lo stesso mi sfugge, quasi preferisse essere lasciato in pace. Mi abbandono al tocco di lui, mi lascio libera di ansimare, di gemere. Non ho nemmeno bisogno di fingere. Ha il pieno controllo del mio corpo, e lascio che mi guidi verso il paradiso.

Ed invece mi lascia appesa, a pochi passi dalla conclusione. No, cosa fai, continua. Provo a spingere il bacino in avanti, verso le sue mani, ma è evidente che lo fa apposta, le tiene fra le mie gambe per impedirmi di chiuderle, di farmi finire, ma evitando con cura anche solo di sfiorarmi il sesso.

«Per favore,» mormoro un'implorazione.

«Non è il momento.» è la sua risposta, con un tono la cui indifferenza mi sembra quasi crudele. Sì che lo è! Quale momento migliore di questo? Ed invece sto scoprendo di non saper nemmeno supplicare come si deve.

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